Perché il Food Made in Italy deve investire nel Marketing?
A vedere le proposte di alcuni individui che sulla rete fanno marketing (o dicono di farlo) sembra tutto facile e facilmente raggiungibile. "Ti prometto 10.000 Like in un giorno! 1000 Condivisioni in un giorno! Migliaia di euro al giorno!!!" Poi confrontandosi effettivamente con queste persone, la realtà viene a galla e ci si accorge di parlare con dei piccoli truffaldini che provano a fregare - passatemi il termine - tutti quelli che magari provano a vedere nel digitale un motore di supporto alla vendita e alla valorizzazione di marchio e prodotto.
Un’altra figura molto diffusa sui canali Social, anche su quelli professionali come LinkedIn, è il “guru” che ti racconta a grandi parole come si fa a fare marketing, come promuovere il tuo sito web, il tuo prodotto, il tuo marchio, ma poi, stringi stringi, non ti dice mai come si fanno davvero queste cose…
Partendo da questa premessa un po’ polemica, volevo presentare uno dei motivi per cui, secondo la nostra esperienza lavorativa e non, molte aziende dell’agroalimentare italiano si trovano a diffidare frequentissimamente delle proposte di marketing.
Iniziamo pure col dire che come settore di mercato, l’agroalimentare, non è quello che presenta il maggior grado di cultura e diffusione del digitale, ma sembra molto chiaro il motivo per cui questo settore sia rimasto ancora (tutto sommato) molto arretrato da questo punto di vista:
Il Marketing non ha nessun valore percepito.
Qualcuno potrebbe dirmi che la causa principale della rinuncia al marketing da parte di queste imprese sono i costi troppo alti, ma (almeno nel nostro caso) si tratta solamente del risvolto della percezione negativa verso il marketing. Difatti, i costi passano quasi in secondo piano per chi percepisce il valore di un investimento. Se i benefici superano il sacrificio, la propensione alla spesa cresce inevitabilmente.
Per citare solo un caso, un’azienda vitivinicola di nostra conoscenza ha deciso pochi anni fa di introdurre nel ciclo produttivo una macchina selezionatrice degli acini, con lo scopo di evitare l’intrusione di insetti e di altre sostanze estranee nell’uva e nel mosto. Tra l'acquisto della macchina e per la ridefinizione di tutta la catena produttiva del vino sono stati investiti circa 500mila euro, e tutto ciò “solo” per avere la garanzia di ottenere uve sane e di qualità superiore nelle vendemmie successive.
Un’azienda vitivinicola è emblematicamente un’organizzazione che punta sull’investimento per gli anni successivi. Questo lo si intuisce in fretta se si pensa sia ai cicli biologici delle piante, sia alle questioni legate ai disciplinari, alla produzione e all’affinamento dei prodotti vinicoli.
Basti pensare che una vite comincia a produrre solo dopo i primi 3-4 anni di vita (con un rendimento finale di circa il 30% del suo massimo potenziale) e solo attorno ai 7-8 anni, fino ai 25 anni circa, si può contare su una produzione con un buon rapporto tra qualità e quantità. Dopo i 25-30 anni invece si assiste ad una riduzione costante della quantità di grappoli ma ad una concentrazione maggiore di aromi in essi (con un rapporto polpa/buccia dell'acino in favore della buccia e l'aumento del grado zuccherino nella polpa), garantendo un incremento della qualità delle uve.
Tutto questo ovviamente senza contare le differenze tra vitigno e vitigno, le varie tecniche di allevamento della vite e di vinificazione, l’esposizione e l’altitudine, parassiti e spore varie e (come abbiamo visto quest’anno - 2017 - con la gelata primaverile e l'estate siccitosa) le condizioni meteorologiche dell’annata: tutti fattori che influenzano la produzione.
Lo stesso discorso è ugualmente valido per i frantoiani e olivicoltori, che sono fortemente influenzati dai parassiti e dalle condizioni atmosferiche (pensiamo all’annata olivoleica 2014) e che quindi si trovano a dover investire senza avere certezza garantita del raccolto.
Se ciò non bastasse, potremmo pensare anche ai produttori del settore caseario, dove la stagionatura e il rispetto di alcuni disciplinari definiscono l’entrata sul mercato dei prodotti, ritardando i ritorni sull'investimento.
Il Marketing è un investimento di lungo termine
Insieme alle nozioni lanciate un po’ da chiunque online, diciamo che il marketing negli anni non si è guadagnato una buona fama. Tralasciando i luoghi comuni (non validi se ci si affida a professionisti), dobbiamo necessariamente ricordare la famosissima Catena del Valore di Porter per capire il ruolo che dovrebbe ricoprire il marketing all'interno della struttura aziendale.
Questo modello è stato realizzato nel 1985 da Michael Porter allo scopo di spiegare la struttura delle imprese come insieme di funzioni ed operazioni. Da quello che vediamo, il marketing - insieme alle vendite - fa parte delle attività primarie, cioè di quelle azioni da svolgere con la stessa priorità delle operazioni di produzione e della logistica. Traslando il modello sulla struttura di un’azienda dell’agroalimentare, potremmo dire che il marketing dovrebbe avere lo stessa priorità delle operazioni di vendemmia o delle operazioni di frangitura delle olive.
Il marketing non è un surplus, è parte integrante dell’impresa e delle sue attività principali.
Vuoi un esempio emblematico di un Marketing ben integrato nella struttura aziendale?
L’azienda E. & J. Gallo Winery, fondata negli anni ‘30 da Ernest e Julio Gallo in California, ad oggi vanta una produzione di decine di milioni di bottiglie. Durante la sua esponenziale crescita come marchio di riferimento in California e in tutti gli USA, più precisamente negli anni ‘90, l’azienda ha deciso di chiamare in causa il consorzio Gallo Nero del Chianti per una violazione della proprietà intellettuale legata al nome della famiglia (e della cantina).
Indovinate chi ha vinto la causa? Beh mi sembra naturale, la Gallo Winery, che grazie ad una potente comunicazione, una grande potenza di marchio e grazie ai potentissimi appoggi è riuscita a far togliere la dicitura Gallo Nero dal simbolo del Chianti Classico. La corte californiana ha stabilito con quella che si dice "opinione vincolante" che il consorzio toscano non avrebbe potuto utilizzare la parola "gallo" come nome parziale o integrale di qualsiasi prodotto vinicolo.
Tanto per capirci, il Consorzio del Chianti Classico delimita un’area ben precisa che è stata delineata nel 1716 da Cosimo III de’ Medici, insomma non esiste dall’altroieri...Eppure, detto fuori dai denti, gli Americani della Gallo, grazie al loro spirito imprenditoriale e grazie all’autorità creatasi negli anni come azienda e come brand, sono riusciti in questa impresa.
Se poi vogliamo discuterne, è certo che possiamo trovare delle grandi differenze di gestione per una sola azienda, rispetto alle stesse moltiplicate per centinaia di imprese con personalità molto forti da trattenere all’interno di un consorzio. Tuttavia, il risultato non cambia: la gestione del marketing come parte integrante dell’impresa porta ad inevitabili vantaggi, soprattutto nel lungo periodo.
A questo link trovate l’articolo de La Repubblica del 19/11/1991 che parla proprio di questo episodio.
Dunque, cosa fare?
È assolutamente necessario pianificare e realizzare un riposizionamento della disciplina del marketing, così da aumentare la percezione del valore di queste attività all’interno dell’impresa come azioni volte alla valorizzazione dell’identità di territorio, di prodotto e di marchio e come supporto diretto alle vendite.
Che cos'è il Marketing in 1041 parole. Leggi questo articolo per scoprire la reale utilità di questa disciplina.
Oggi grazie agli strumenti di tracciamento offerti dal digitale, il marketing permette di calcolare con sicurezza i ritorni d’investimento di ogni micro-attività svolta online (clicca qui se vuoi saperne di più), permettendo alle imprese di ottenere grandissimi vantaggi, in termini di ritorni di investimento, di valorizzazione del brand e di aumento delle vendite, a partire dal medio/lungo periodo (12/24 mesi) di applicazione della strategia.
È necessario intervenire organizzando eventi formativi dedicati alle imprese del settore agroalimentare, illustrando con quanta più chiarezza possibile i concetti alla base delle varie tecniche di comunicazione e di food marketing.
Infine, dalla parte delle imprese si dovrebbe invece auspicare una maggiore fiducia verso i professionisti, avendo la cautela di non credere a proposte troppo ghiotte (con prezzi eccessivamente bassi e/o dove si promettono grandi risultati in poco tempo e con poco sforzo) però cercando di comprendere le potenzialità di questa materia e quindi avvicinandosi sempre più a questa disciplina in continua evoluzione.
Concludendo... Perché investire nel Marketing?
Il marketing viene spesso tacciato di raccontare di mezze verità o addirittura falsità, tuttavia, come scriviamo in tanti altri articoli sul nostro blog, l’Italia dell’Agroalimentare non ha bisogno di gonfiare le cose per rendersi appetibile nella stessa Italia o all’estero. Piuttosto, si tratta di esplicitare con approccio olistico il valore della relazione tra persone, terra/territorio e produzioni con i relativi cultivar/razze.
Attenzione però a non commettere l’errore opposto, che è quello che porta molte altre persone a non investire in marketing e comunicazione: il Made in Italy da solo non basta; serve comunicarlo, talvolta anche stravolgendo la comunicazione di prodotto e puntando anche sul design, specialmente per paesi che non hanno familiarità culturale con determinati prodotti, ma che invece sono molto legati al marketing (es. USA e Cina). Scopri qui 6 fattori essenziali per pianificare l'internazionalizzazione della tua impresa.